La cannabis è una pianta che da tempo, per diverse ragioni, è sotto l’occhio dei riflettori. La sua storia è millenaria ed è legata alle sue caratteristiche intrinseche. L’uomo, nel corso del tempo, ne ha identificato molti usi. Siamo infatti davanti a una specie vegetativa dalle pregiate qualità, che può avere, ad esempio, molti usi industriali. Ha inoltre, com’è noto, proprietà psicoattive. Per questa ragione in tutto il mondo ne è sempre stato diffuso l’uso ricreativo e religioso.
Non per ultime sono da ricordare le sue indubbie proprietà terapeutiche, che si sono evolute di pari passo con la scienza, dall’antichità fino ai giorni nostri.
In quest’articolo proviamo a inquadrare la cannabis dal punto di vista botanico. Ne tracciamo la storia e la diffusione, e cerchiamo di capire quali sono le differenze tra la cannabis Sativa e quella indica.
L’inquadramento botanico della cannabis
Quando parliamo di cannabis, parliamo di una pianta erbacea della famiglia delle Cannabaceae. Già secoli fa, in ambito accademico, si è presentato il problema della sua esatta speciazione. In particolare, circa la sua origine poli-tipica o mono-tipica. Al riguardo esistono diverse scuole di pensiero.
Nel 1753, il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, il botanico svedese Carl Nilsson Linnaeus, la classificò sotto un’unica specie, Cannabis sativa.
Nel 1785 fu il botanico Jean-Baptiste de Lamarck a distinguere la canapa in due specie differenti, Cannabis sativa e Cannabis indica.
Due secoli più tardi, nel 1976, arriva la classificazione operata da Small & Cronquist. I due riconoscono una sola specie suddivisa in due sub-specie, la Cannabis sativa subsp. indica e la Cannabis sativa subsp. Sativa.
Primi anni 2000
Una delle ultime classificazioni è quella basata sugli studi genetici di Hillig K. W., compiuta nel 2005. Nella sua pubblicazione Genetic evidence for speciation in Cannabis (Cannabaceae) Genetic Resources and Crop Evolution (che trovate qui), lo studioso riporta a due specie distinte: la Cannabis sativa e la Cannabis indica, includendo la terza specie, la russa Cannabis ruderalis, classificata dal botanico russo D. E. Janischevsky.
Queste distinzioni per molto tempo hanno avuto grande importanza per distinguere le specie in base agli usi di destinazione. Questo perché, da specie a specie, i livelli di concentrazione dei principi attivi sono differenti.
Ad oggi la Cannabis Sativa è quella legata in primis agli usi industriali, ed è nota soprattutto col nome di canapa. Oltre ai fini industriali è anche quella più usata per gli scopi terapeutici.
La Cannabis Indica (Indiana) è invece quella legata solo agli effetti psicoattivi ricreativi, di culto e, in seconda battuta, terapeutici.
In realtà, però, le distinzioni in base all’uso di destinazione sono vere fino a un certo punto. Cerchiamo, quindi, con ordine, di capire il perché di tanta confusione. Partiamo dunque dalla storia delle origini e della diffusione geografica della cannabis.
Le origini della cannabis
La pianta di cannabis è forse una delle più antiche coltivate dall’uomo. Il Neolitico, età dell’avvento dell’agricoltura, è l’epoca individuata dagli storici per segnare l’inizio della sua coltivazione. Si parla quindi dell’8.000 a.C. L’area di origine viene fatta ricadere in Asia Centrale, tra la regione dello Xinjiang, nella Cina occidentale, e l’India settentrionale.
Nell’antica tradizione cinese era fonte alimentare, medicinale e di fibra. Per le popolazione hindu, invece, è da sempre considerata una pianta sacra.
Dall’Asia centrale, grazie al nomadismo di alcune popolazioni, la cannabis si è diffusa dapprima in Medio Oriente, poi nel bacino del Mediterraneo e nell’Europa occidentale. Stiamo parlando ancora di epoche antiche, in un periodo che va dal 2.000 a.C. all’anno 0.
La diffusione nel Maghreb e in Africa sembrerebbe essere più recente. Avvenuta ad opera degli arabi, sembrerebbe risalire al periodo delle grandi conquiste dell’impero Ottomano, a partire dal VIII secolo. Mentre nel continente americano la diffusione della cannabis sarebbe da far risalire al periodo successivo alle spedizioni di Colombo.
Queste, a grandi linee, le epoche di diffusione accettate in modo ufficiale.
Tuttavia, diversi ritrovamenti archeologici collocano la cannabsis (selvatica o coltivata), in diverse parti del mondo già in epoche antichissime. In tal senso è molto interessante questo approfondimento sulla sua situazione nell’antica Europa.
La sua diffusione geografica
Oggi la cannabis è diffusa in tutto il mondo. Sono poche le aree del pianeta in cui la pianta non è presente (in forma coltivata o spontanea). Il fatto che riesca a vivere e a svilupparsi a tutte le latitudini è stato uno dei motivi che ne hanno reso complessa l’identificazione tassonomica e alimentato il dibattito scientifico sull’origine poli-tipica o mono-tipica.
Le caratteristiche botaniche delle diverse specie di cannabis

Foglie di varietà Indica
Passiamo ora alla descrizione delle caratteristiche botaniche della cannabis, analizzando sia i tratti comuni che le peculiarità delle diverse specie.
La cannabis è una pianta con un portamento eretto. In piena maturazione, e a seconda della specie, può avere altezze comprese tra i 50 cm (Cannabis ruderalis) e i 6 m (Cannabis sativa). La pianta ha una lunga radice fittonante, che penetra in profondità nel terreno e sviluppa numerose ramificazioni.
Le foglie sono palmate e provviste di picciolo e possono avere un numero variabile di foglioline da cinque a tredici. Hanno i margini seghettati e lunghezze differenti a seconda della specie.
Le varietà Indica hanno un numero minore di foglioline (di solito sette). Inoltre presentano ampi lobi e sono di colore verde scuro.
Nelle varietà si Sativa, le foglie sono invece verde chiaro e hanno margini ristretti. Sono più numerose e hanno forma sottile e allungata.
Sempre a seconda della specie, la pianta di cannabis può essere più o meno ramificata. Le varietà di cannabis Sativa impiegate per uso tessile, ad esempio, hanno un lungo fusto, la semina è fitta e sviluppano poche ramificazioni.
Le varietà di Indica, invece, sono più basse, molto più ramificate, quasi a forma di cespuglio.
Il sesso della cannabis
In generale la cannabis è una pianta dioica, ossia esistono esemplari femminili e maschili. Nelle piante maschili, l’organo di riproduzione, ossia i fiori maschili (staminiferi), crescono riuniti in pannocchie all’ascella delle foglie.
I fiori femminili (pistilliferi) formano un’infiorescenza con un calice che avvolge un ovario, supero ed uniloculare, sormontato da due stili e due stimmi. Il fiore femminile, in modo particolare nella varietà di Indica, produce una grande quantità di resina.
La cannabis si impollina in maniera anemofila, ossia sotto l’azione del vento. Produce un seme duro e scuro, ricco di olio alimentare. Il seme di cannabis, a seconda della specie, può avere una dimensione diversa e striature scure più o meno marcate.
In natura la cannabis inizia la sua fioritura nel periodo estivo, cioè quando iniziano a diminuire le ore di luce.
Una delle caratteristiche della cannabis, infatti, è quella di risentire del fotoperiodismo. In sostanza è una specie brevidiurna, che entra in fioritura quando il tempo d’illuminazione non supera le 12 ore giornaliere. A questa regola fa eccezione la specie Ruderalis, originaria della Russia, dunque abituata al clima rigido e alla luminosità diversa. La Ruderalis è autofiorente, cioè non risente del fotoperiodismo e non necessita della diminuzione delle ore di luce per fiorire.
I principi attivi della cannabis
I più importanti principi attivi della cannabis sono i cannabinoidi, ossia le sostanze chimiche di origine naturale, presenti nella resina. A livello biochimico sono sostanze classificate come terpenofenoli. La cannabis contiene circa una settantina di cannabinoidi, i più importanti dei quali sono il thc (ossia il tetraidrocannabinolo) e il cbd (cioè il cannabidiolo).
Il THC
I cannabinoidi hanno la caratteristica comune di interagire con i recettori cannabinoidi presenti nel nostro encefalo. Con questi si legano provocando momentanei stati di alterazione psicofisica. Il thc, che stimola il rilascio di dopamina nel sistema nervoso, è il più noto dei principi attivi della cannabis. Può provocare effetti psicoattivi quali: euforia, rilassamento, alterazioni delle percezioni spazio-temporali, ansia, panico, paranoia, disorientamento, stanchezza, stimolazione dell’appetito.
Ha anche effetti antidolorifici, antitremore, antinausea, anticinetosico, abbassa la pressione endooculare. Parliamo quindi di tutta una serie di effetti diversificati, positivi e negativi. Questi dipendono per lo più dalla concentrazione del principio attivo nella pianta, ma anche da fattori di assimilazione soggettiva. Si parla per questo di effetti soggettivi della cannabis.
Il CBD
Il cbd, a differenza del thc, non viene considerato una sostanza psicoattiva. Ha effetti sedativi, ipnotici, anticonvulsivanti, antidistonici, antiossidanti e antinfiammatori. Inoltre, riesce a potenziare gli effetti analgesici del tetraidrocannabinolo riuscendo, allo stesso tempo, a ridurne gli effetti collaterali.
Per questo motivo, a scopi terapeutici si selezionano e sperimentano varietà con un più elevato contenuto di cbd e uno minore di thc. Viceversa, se al consumatore di cannabis serve l’amplificazione degli effetti psicoattivi, occorrono varietà con un più elevato contenuto di thc. Il tema, com’è ovvio, è molto complesso e meriterebbe una trattazione organica.
Somiglianze e differenze tra le diverse specie

Foglie di varietà Sativa
Cerchiamo adesso di capire come si presentano le diverse specie di cannabis rispetto al contenuto di cannabinoidi.
Con cannabis Sativa si intende quella usata ai fini industriali e terapeutici, mentre con cannabis Indica ci si riferisce a quella con effetti psicoattivi. Le cose però non stanno proprio così. In realtà la differenza sta nei livelli di concentrazione dei due principali cannabinoidi, quindi il thc e il cbd.
Intendiamoci, la varietà Indica è una specie adattata e originaria dei climi freddi, che nasce in paesi come l’Afghanistan o il Nepal. Per questo motivo sviluppa una grande quantità di resina, contenuta nelle infiorescenze femminili. E questa resina, com’è noto, contiene elevate quantità di thc. Ma ciò non vuol dire che le specie di cannabis Sativa non contengano thc, ma semplicemente ne contengono di meno. In compenso hanno un’alta percentuale di cbd, principio attivo più efficace per gli usi terapeutici.
Ad esempio l’azienda olandese Bedrocan, che produce la cannabis terapeutica più nota, produce cinque varietà, di cui quattro Sativa e solo una Indica.
La cannabis Sativa è anche per sua natura quella più adatta agli usi industriali. Ma questo per una semplice ragione: ha dimensioni maggiori e dunque assicura maggiori rese, con una fibra di migliore qualità rispetto alle varietà Indica.
Insomma, la differenza tra le due specie non è netta, anzi è molto sottile. Tra l’altro, questa affinità tra le diverse specie deriva da una delle più belle caratteristiche di questa pianta, ossia la sua grande capacità di incrociarsi. Questo può dar vita a ibridi fertili, di tipo stabile, quindi ad un’infinità di combinazioni tra le diverse specie.
Ibridazioni e commercio
L’ibridazione e il mescolamento genetico sono stati sviluppati soprattutto dai coltivatori olandesi, che, negli anni, hanno stabilizzato centinaia di varietà.
Stabilizzare una varietà ibrida vuol dire che i caratteri dominanti e recessivi del nuovo ibrido riescono a mantenersi nel tempo. E in più riescono a trasmettersi ai discendenti.
Ulteriore conseguenza è che nell’attuale mercato della canapa ad uso psicoattivo, laddove è legale consumarla, è quasi impossibile trovare varietà 100% Indica o Sativa. Sono comuni molte varietà derivanti dagli incroci, spesso ibridate con la Ruderalis per la sua capacità auto-fiorente.
Per gli usi industriali invece sono state selezionate nel tempo varietà di cannabis Sativa a basso contenuto di thc, per venire incontro alle esigenze di tipo legale.
Varietà dioiche e monoiche
In natura la cannabis è una pianta dioica, ma l’evoluzione delle genetica botanica ha prodotto anche piante monoiche. In sostanza, parliamo di varietà che portano i fiori femminili e maschili sulla stessa pianta.
Questo cambiamento genetico, con la selezione di nuove varietà monoiche di cannabis Sativa, è stato portato avanti soprattutto in Francia. La volontà era di ottenere cultivar più adatte agli usi industriali.
Le varietà monoiche, infatti, hanno il vantaggio di avere un periodo uniforme di fioritura e maturazione dei semi. Per questa ragione sono più adatte alla produzione di fibra, semi e sottoprodotti.
Nelle piante dioiche, invece, la popolazione dei maschi produce una fibra peggiore, in quanto nel periodo della raccolta è già troppo lignificata. Di norma, in un campo di varietà dioica avremo in media il 50% di maschi e il 50% di femmine. Ciò può rappresentare una forte perdita di resa, rispetto alle varietà dioiche.
Altro vantaggio delle varietà monoiche è di avere bassi livelli di tetraidrocannabinolo (THC), la sostanza attiva psicotropa della cannabis.
Secondo la normativa comunitaria (Regolamento Ce numero 2860/2000), il limite della concentrazione di THC è dello 0,2%. Questo requisito è fondamentale in molti Paesi per poter coltivare la canapa senza incorrere in problemi legali.
Le varietà monoiche rispettano in maniera più stabile questo limite rispetto alle dioiche.
Tuttavia, in Italia è forte la tradizione della coltivazione di dioiche, come la famosa Carmagnola.
In sintesi, per usi industriali sono migliori le monoiche, per quelli terapeutici, ricreativi e psicoattivi, sono preferite le dioiche.
Nelle varietà dioiche, infatti, è possibile selezionare il sesso della pianta, lasciando nel campo solo le piante femmine, prima che vengano impollinate dai maschi. In questo modo si producono infiorescenze senza semi, ricche di principi attivi, che sono la parte più pregiata della cannabis.
Approfondimenti
Qui potete approfondire la storia del proibizionismo della cannabis e l’attuale panorama normativo. Oltreché il modo in cui si è evoluta la coltivazione e la commercializzazione di questa pianta, dopo l’introduzione nel nostro Paese della Legge 2 dicembre 2016 n. 242.
5 commenti
Molta confusione e approssimazione.
La tassonomia della cannabis e’ costituta da 4 sottospecie o sottofamiglie. (Hemp pest and disease – Clarke McParland Watson). In primis non esiste, secondo i botanici, la cannabis indica.
1) cannabis sativa varieta’ sativa. Alta fino a 6 metri. Utile per la fibra. Thc poco.
2) cannabis sativa varieta’ indica. Alta.fino a 4 metri. Foglie larghe. E’ cio’ che in gergo chiamiamo “sativa”. Thc medio alto.
3) cannabia sativa varieta’ afganica. Alto thc non troppo alta. E’ cio’ che nel gergo chiamiamo “indica”. Originaria dell’afganistan.
4) cannabis sativa varieta’ ruderallis. Thc medio basso. Non risente del fotoperiodo.
Ciao Andrea, come spieghiamo bene nell’articolo ci sono stati molti tentativi di classificazione della cannabis, alcuni anche abbastanza autorevoli. Quella a cui fai riferimento tu (Hemp pest and disease – Clarke McParland Watson) è una pubblicazione del 2000, legittima, la più recente e oggi più accreditata, però, almeno stando a ciò che ci risulta, è quella del 2005 pubblicata da Hillig K. W. e da noi citata (Genetic evidence for speciation in Cannabis (Cannabaceae) Genetic Resources and Crop Evolution).
Un caro saluto.
Buongiorno volevo chiedere se posso coltivare
Le cose naturali sono le migliori
Come non essere d’accordo…