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La mazza di tamburo, Macrolepiota procera, è un fungo commestibile molto comune e apprezzato dagli appassionati. È presente in tutte le regioni italiane e, conoscendo le sue caratteristiche morfologiche, è facile da riconoscere. Per la sua particolare forma, la mazza di tamburo viene anche chiamata ombrellone o cappellone. Ha un certo grado di tossicità, che può essere però eliminato raccogliendo gli esemplari non troppo vecchi e cucinandoli con adeguate tecniche di cottura.
In quest’articolo descriviamo la mazza di tamburo, vediamo le specie simili con le quali potrebbe confondersi e capiamo come va trattato per evitare intossicazioni alimentari.
Caratteristiche delle mazze di tamburo
Macrolepiota procera è un fungo della divisione Basidiomycota, famiglia Agaricaceae. Il nome volgare mazza di tamburo è dovuto alla forma del cappello negli esemplari giovani. In questi, infatti, il cappello è chiuso, le dimensioni contenute e la forma è sferoidale. A maturità, tende ad aprirsi, divenendo prima convesso e poi piatto.
Cappello
Quando si apre, il cappello può raggiungere dimensioni notevoli, fino a 40 cm di diametro.
Gli altri suoi elementi distintivi sono:
- superficie ricoperta di squame grossolane di color ocra-bruno, sul fondo chiaro;
- disposizione radiale delle squame, sempre più rade andando dal centro verso l’esterno;
- margine sfrangiato;
- cuticola color nocciola-biancastra, fibrillosa e setosa.
Gambo e lamelle
Il gambo della mazza di tamburo è lungo e sottile, può arrivare fino a 50 cm di altezza.
È dritto e con l’interno cavo, consistenza dura e fibroso. La superficie del gambo è vistosamente decorata da piccole scaglie brune. Al piede ha forma bulbosa, mentre in alto termina con un vistoso anello doppio e mobile. Il gambo non è commestibile.
Le lamelle sono libere, inizialmente bianche, poi con la tendenza a “sporcarsi” di grigio-bruno sul filo.
Carne
La carne, ovvero la parte interna del cappello, è di un bel colore bianco e non tende a cambiare colore in seguito a rottura e sfregamento. In altre varietà simili alla Macrolepiota procera, e commestibili come M. fuliginosa, permixta o pseudoolivascens, può invece diventare rosata dopo il taglio. L’odore è gradevole, ricorda la nocciola. Il sapore è delicato e dolciastro.
Dopo la cottura, il volume si riduce notevolmente, ma questa è una caratteristica che accomuna un po’ tutti i funghi commestibili, come ad esempio i porcini o i rositi.
Habitat della mazza di tamburo
La mazza di tamburo è un fungo commestibile abbastanza comune. Lo troviamo di frequente nei boschi di latifoglie o di conifere, dove cresce in folti gruppi. Ma lo si può incontrare facilmente anche nei prati di montagna e in alta collina, vicino ai bordi delle strade e nelle radure.
Quando raccogliere le mazze di tamburo
Le mazze di tamburo si trovano dall’estate all’autunno, in pratica fino all’arrivo dei primi veri freddi. È molto importante raccoglierle non troppo in là con la maturazione, per non andare incontro a fenomeni di tossicità. Come capire, dunque, se una Macrolepiota procera è “vecchia”? La risposta è semplice: basta osservare le lamelle. Gli esemplari vecchi presentano lamelle ingrigite e più o meno ondulate. Questi esemplari è meglio non raccoglierli. Se le lamelle sono bianche e dritte, invece, il fungo è fresco, dunque è ideale per la raccolta. Ad ogni buon conto, quando andate in giro nei boschi a raccogliere i funghi, al ritorno rivolgetevi alla vostra Asl di competenza, dove gli ispettori micologici vi sapranno certificare con certezza la commestibilità del raccolto.
Usi in cucina e cottura de fungo mazza di tamburo
Per evitare intossicazioni dovute al consumo di funghi mazze di tamburo è importante la cottura. La leggera tossicità è infatti limitata all’ingestione di alcune parti crude. Quindi la cottura della carne del cappello (l’unica parte che si usa) deve essere ben fatta, sia all’esterno, che all’interno. Mazze di tamburo cotte fuori, ma più crude dentro, rischiano di causare forti dissenterie e problemi gastrointestinali.
Il fungo, quindi, si può cucinare in diversi modi, purché la ricetta preveda la cottura. Di solito viene impanato e fritto, come una cotoletta. Lo si può cucinare al tegame, oppure fare a pezzettini per la preparazione di gustose frittate. Un alto uso è la cottura alla brace, una vera e propria prelibatezza. Il rischio di una cottura incompleta è però in questo caso maggiore. Per evitare problemi, si può preventivamente sbollentare il cappello, farlo asciugare con delicatezza, e poi procedere alla cottura.
Indicazioni per non confondere la mazza di tamburo con specie velenose

Il doppio anello della Macrolepiota procera
Non bisogna far confusione tra la specie Macrolepiota procera e le lepiotine, funghi che per aspetto, forma e colori, sono molto simili a delle mazze di tamburo in miniatura. In particolare, parliamo di funghi del gruppo Lepiota helveola, funghetti di piccola taglia, con un cappello di al massimo 5-6 cm di diametro. La confusione è tuttavia improbabile, oltre alle dimensioni del fungo (la mazza di tamburo è molto grande), su questi funghi è, infatti, presente sul gambo un piccolo anello fugace, al posto del robusto anello doppio tipico della mazza di tamburo.
Esistono poi altre specie del genere Macrolepiota simili alla mazza di tamburo e che sono molto più tossiche. In particolare abbiamo le Macrolepiota:
- Rachodes
- Venenata
- Puellaris
- Affinis
- Mastoidea
- Fuligineosquarrosa
- Rickenii
Queste specie causano facilmente disturbi gastrointestinali, anche dopo prolungata cottura. Motivo per cui, molte intossicazioni vengono per errore attribuite alle mazze di tamburo. Tra queste la specie più pericolosa è la M. Venenata, caratterizzata da un gambo più corto e senza decorazione di squamette. La carne di questo fungo, a differenza di quella della mazza tamburo originale, arrossisce fortemente in seguito al taglio.