Il farfaraccio (Petasites hibridus) è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae. In alcuni testi viene indicato con il nome di Petasites officinalis, mentre volgarmente è detto farfaraccio maggiore. Cresce spontaneamente in tutte le regioni italiane, fatta eccezione per le isole. Lo si può trovare nelle zone di alta collina e montagna, nelle Alpi e negli Appennini, dove predilige i luoghi molto umidi, come lungo i ruscelli e i fossi. È una pianta rinomata per le sue proprietà officinali e ha trovato in passato largo impiego nella medicina popolare. Tuttavia, studi più moderni hanno evidenziato nella sua composizione la presenza di sostanze tossiche per l’organismo, per cui il suo uso attuale è limitato a preparati con estratti di principi attivi benefici, come la petasina.
Conosciamo quindi le caratteristiche botaniche del farfaraccio e le sue possibilità di utilizzo.
Descrizione del farfaraccio
Il Petasites hibridus è una pianta perenne che ha la forma biologica di geofita rizomatosa, vale a dire che la pianta è provvista di gemme vitali sotterranee. Durante la stagione fredda il farfaraccio si secca nella parte aerea, ma sopravvive e si rigenera proprio grazie a queste gemme latenti.
L’apparato radicale è formato da un grosso rizoma carnoso (che racchiude le gemme) da cui già a fine inverno si sviluppano i fusti fioriferi. Questi sono alti fino a 50 cm, con foglie cauline di piccole dimensioni e colore arrossato come il fusto. Una particolarità della pianta è che l’apparato fogliare vero e proprio, ovvero quello basale, si sviluppa dopo la fioritura.
Foglie
Le foglie del farfaraccio sono molto grandi, a piena maturità arrivano anche a 80 x 40 cm di grandezza. Sono triangolari-reniformi e dotate di un lungo picciolo soffuso di porpora, con il margine irregolarmente dentato. La superficie superiore della foglia è verde e glabra, mentre quella inferiore è biancastra per via della presenza di un fitto tomento di peluria lanuginosa.
Fiori
L’infiorescenza del farfaraccio è costituita da un racemo allungato con brattee color porpora (foglie cauline). I fiori sono rossicci, riuniti in capolini racchiusi da una serie di squame lanceolate. La corolla è tubulare e divisa alla fauce in sottili filamenti bianchi. La fioritura avviene precocemente, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera.
Frutti
Il frutto è un achenio cilindrico percorso da costole longitudinali e provvisto di un pappo di setole sottili.
L’habitat del farfaraccio
Come accennato, il farfaraccio cresce in zone fresche di montagna o collina. Predilige i luoghi molto umidi, ad esempio le sponde dei ruscelli e i fossi. In queste aree, non è infrequente incontrare in primavera intense distese verdi formate dalle grandi foglie di appartenenti a questa pianta.
La raccolta del farfaraccio
Il farfaraccio era una pianta molto in voga nella medicina popolare, ma per la tossicità di alcuni suoi costituenti è stata progressivamente abbandonata in favore di piante officinali più sicure. Ad ogni modo, ci sembra giusto ricordare le modalità di raccolta e conservazione della pianta.
Un tempo venivano utilizzate diversi parti, ovvero il rizoma, il capolino e le foglie.
Il rizoma si raccoglie prima della fioritura, in febbraio, oppure in autunno. Si lava accuratamente per eliminare la terra e si divide in piccoli pezzettini di 5 cm di lunghezza.
I capolini si raccolgono, uno per uno, durante la fioritura di inizio primavera.
Le foglie si recidono in maggio e giugno, quando sono ben sviluppate, senza il picciolo.
Come conservare il farfaraccio
Il rizoma del farfaraccio si essicca all’ombra o nelle vicinanze di una stufa a legno non troppo incandescente.
Le foglie e i fiori si seccano in strati sottili, in un luogo areato e a riparo dal sole diretto.
Tutte le parti si conservano al meglio in recipienti di vetro o di porcellana.
Principi attivi e proprietà del farfaraccio
Sono diversi i principi attivi contenuti nel rizoma e nelle foglie del farfaraccio, alcuni positivi, altri meno. In particolare sono presenti degli alcaloidi pirrolizidinici, come la senecionina, che risultano essere molto tossici per il fegato, specie con un uso prolungato. Pertanto, si sconsigliano le classiche preparazioni domestiche come tisane, infusi e decotti.
Tra i principi attivi benefici del farfaraccio abbiamo però la petasina e suoi derivati, esteri sesquiterpenici molto preziosi, i quali hanno un’azione regolare e sicura.
Questa pianta è stata lungamente usata nella tradizione popolare come pianta tossifuga e sedativa, utile anche per calmare gli stati di eccitazione nervosa, l’insonnia e l’emicrania.
Studi più moderni hanno confutato queste proprietà e oggi si trovano in commercio integratori privi di alcaloidi dannosi, ma contenenti petasina, consigliati in particolare come prodotti naturali per la cura dell’emicrania, specie se di origine nervosa.
Uso esterno
Per uso esterno il farfaraccio ha proprietà vulnerarie, ovvero è utile per guarire le ferite.
In questo caso, visto che non vi è nessuna assunzione interna, e quindi nessun rischio di epatotossicità, si può preparare un infuso con le foglie o i fiori secchi, usando 5 g di sostanza per 100 ml di acqua. Con l’infuso si preparano compresse da applicare sulle parti infiammate, ad esempio piccole ulcere, contusioni o punture d’insetto.